domenica 3 maggio 2009

Appello dell'Onda di Torino

Tra il 17 ed il 19 maggio di quest’anno si terrà a Torino, promosso dalla CRUI, il G8 University Summit, a cui parteciperanno i rettori ed i presidenti degli atenei degli stati membri dell’istituzione suddetta, insieme a quelli di molti altri paesi, dall’Arabia Saudita al Vaticano, dalla Cina al Sudafrica; è la seconda volta che un’iniziativa del genere viene organizzata, dopo l’esordio a Sapporo, nell’estate dello scorso anno.L’incontro si propone come interlocutore diretto del G8 dei capi di governo e di stato che si riunirà in Sardegna, quest’estate, e si è dato l’obiettivo, sulla base del carattere fondamentalmente “neutral and objective” che caratterizzerebbe l’istituzione universitaria e il sapere che produce e trasmette, di consigliare i “grandi del mondo” sui problemi dell’umanità e del pianeta.Riteniamo inaccettabili le modalità di organizzazione dell’iniziativa, la funzione che si arrogano i rettori, la concezione dei rapporti tra mondo accademico e le dinamiche sociali ed il potere politico ed economico che viene proposta, sia in forma esplicita che implicita, e, ovviamente, l’interlocutore scelto. Questi, il G8, ha rappresentato, nel corso dei decenni uno dei pilastri dell’ordine neoliberista, oggi in crisi, grazie alle risorse ed al potere concentrati nei paesi membri ed alla sua capacità di essere parte di una articolata trama di relazioni con altri organismi sovranazionali, che operava attraverso una continua concertazione, più che con decisioni puntuali e specifiche, ma contribuendo in questo modo a sovradeterminare il sistema delle relazioni internazionali ed il complesso delle politiche economiche e sociali. Oggi l’istituzione vede il suo declino, già in atto da anni, accelerarsi nella crisi globale; la pretesa dei rettori di correre a rilegittimarlo è da contrastare senza esitazioni, oltre ad avere un carattere perfino paradossale. Naturalmente è altrettanto inaccettabile che nel farlo essi si ripropongano come rappresentanti dell’intero mondo dell’università; a prescindere dall’importanza che si può attribuire all’iniziativa specifica, ravvisiamo in questo un’ulteriore conferma del processo in atto di concentrazione e verticalizzazione degli organi e degli strumenti decisionali in atto nel sistema accademico e che, per quanto riguarda l’Italia, trova ampio riscontro nel recente documento della CRUI sulla “governance”.I rettori ridipingono di verde il G8Probabilmente ci sentiremo obiettare che il tema scelto dal summit non permette una contrapposizione netta: sulla base dei risultati del precedente G8 dei rettori, del luglio 2008,(www.g8u-summit.jp), i lavori saranno dedicati alla sostenibilità globale, sociale e umana o per citare il rettore del Politecnico di Torino, Profumo, uno dei più attivi promotori dell’evento, alle “5E” (Energy, Economy, Ethics, Environment and Education).Noi siamo convinti, al contrario, che proprio la totale mancanza di credibilità di questi soggetti di fronte a questioni come la devastazione ambientale e le diseguaglianze su scala mondiale rafforzi in realtà le ragioni della protesta. Se il G8 è, semmai, uno dei principali responsabili di quello a cui si dichiara di voler porre rimedio, dall’altro, anche gli organi di direzione degli atenei (sia pure in modi diversi), hanno condiviso responsabilità su più livelli nei dispositivi della “globalizzazione neoliberista”, contribuendo alla rimessa in discussione del carattere di “bene comune” dei processi di produzione e trasmissione dei saperi, nell’accettazione dei meccanismi e nell’impiego degli strumenti della finanziarizzazione, nella promozione di modi di produzione e d’uso dei saperi in aperto contrasto con le sensibilità a cui si rimanda, quando si discute di “sostenibilità”. Viene spontaneo pensare alle istituzioni accademiche statunitensi che hanno convissuto con una gigantesca espansione del debito degli studenti e successivamente dei lavoratori laureati, costretti a ricorrere al sistema dei prestiti per poter sostenere gli studi, con la creazione, tra l’altro, di una vera e propria bolla finanziaria a rischio di esplosione; ai rapporti che esse hanno instaurato con il sistema delle imprese, particolarmente condizionanti, per quanto riguarda la destinazione dei prodotti della conoscenza e la loro accessibilità; e, ancora, non si può non citare l’invito dell’AAU (Association of American Universities), che raccoglie la maggior parte delle istituzioni accademiche nordamericane, al presidente Obama, affinché continui a sostenere la Minerva Initiative, per la militarizzazione delle scienze umane e sociali e rafforzi la cooperazione tra il Pentagono ed il Dipartimento dell’Energia (Policy Recommendations for President-Elect Obama). Ma si tratta solo di alcuni esempi, perché l’elenco potrebbe essere molto più lungo.L’università insostenibileAll ‘immagine dell’università che verrà proposta nel summit torinese, noi intendiamo contrapporre la descrizione e l’analisi della sua condizione reale, delle contraddizioni che la caratterizzano, delle dinamiche in essa operanti. Intanto partiamo da una constatazione, l’università è in crisi. Crisi che si intreccia con quella globale e di questo troviamo un riscontro nel convergere, a partire da quest’autunno, in Italia, in Grecia ed in Francia (ma a veder meglio, non solo in questi paesi) dei movimenti contro le riforme universitarie e le politiche sulla formazione e la ricerca con le lotte contro gli effetti della crisi economica.Il disagio profondo dell’università ha certo una prima, evidente ragione nei tagli dei fondi pubblici, operanti ormai da anni, ma, intanto, bisogna leggere nella politica delle risorse non solo gli effetti di più generali strategie del bilancio statale, ma anche lo strumento con cui imporre e accelerare le trasformazioni più complessive che hanno investito il mondo accademico. Qui ci troviamo di fronte al problema di dover parlare di processi che non riguardano solo l’Italia e che evidentemente, nei diversi contesti nazionali, hanno conosciuto modulazioni diverse, eppure tratti comuni ci sono.L’università sta mutando i propri principi costitutivi, i propri sistemi di finanziamento, l’organizzazione del lavoro della didattica e della ricerca, le “missioni” che si attribuisce, il significato che attribuisce alla formazione. Da un’istituzione che si organizzava su base soprattutto nazionale e trovava le ragioni della propria legittimazione al proprio interno, si sta passando ad un sistema dove gli attori sono i singoli atenei, strutture suscettibili di riconfigurazioni continue, in rapporto con l’ambiente esterno, che amministrano la penuria delle risorse adottando logiche organizzative aziendalistiche. La ricerca è indotta sempre più a mediarsi con il sistema delle imprese ed il mercato, la formazione si legittima come prestazione da acquistare e non come servizio pubblico. Ne deriva nel complesso un sistema instabile, che si scopre esposto a nuove fragilità, che impone costi sempre più pesanti a chi studia e a chi lavora al suo interno, in una parola: “insostenibile”.Noi tuttavia vogliamo leggere questi processi da un determinato punto di vista, ovvero come l’esito, ancora aperto, di uno scontro sulle nuove qualità produttive dei saperi, sulle forme di controllo, di sfruttamento dei soggetti che li producono, li mettono in opera, li trasformano. Due aspetti ci sembrano particolarmente importanti, l’impoverimento, il livellamento verso il basso dei saperi trasmessi, l’ affermarsi di un’università della precarietà, sia nel senso che si basa su rapporti di lavoro (non solo di tipo contrattuale) caratterizzati da crescente instabilità, incertezza. sia nel senso che ad un futuro di precari prepara i suoi studenti.Una particolare attenzione deve essere posta, soprattutto di fronte a iniziative come il G8 University Summit, alla questione dell’internazionalizzazione-globalizzazione dell’università, sempre più presente nei documenti delle istituzioni accademiche , degli organismi sovranazionali ma non facile da restituire nella sua complessità, poiché chiama in causa più livelli: le forme di regolazione e di indirizzo a livello sovranazionale o forme di “regionalizzazione”, come la creazione dello spazio europeo della ricerca e dell’insegnamento superiore. Ma anche le iniziative degli atenei, quali la crescita del numero di sedi aperte all’estero, l’avvio di joint-venture con altre università estere. Si esaurisce nei fatti il modello classico della cooperazione tra scienziati, che non conosce frontiere, si affermano modelli di crescente competizione per attrarre investimenti, studenti, ricercatori. Il singolo ateneo si pone come infrastruttura operante tra il mercato mondiale e il bacino dell’intelligenza sociale metropolitana. Nello spazio globale vengono instaurate nuove forme del comando, di controllo sul flusso delle conoscenze e la mobilità degli studenti e di chi lavora con i saperi, si impongono nuove gerarchie e differenziazioni ( si pensi all’ossessione per le graduatorie internazionali).The need to restructure scientific knowledgeNella discussione che si è tenuta Sapporo, lo scorso anno, e nella dichiarazione finale prodotta (Sapporo Sustainability Declaration), uno spazio significativo è stato dato all’esigenza, di fronte alle sfide della sostenibilità, di riorganizzare il sapere e la sua trasmissione, superando i limiti degli specialismi e sviluppando l’interdisciplinarietà; una delle proposte è l’organizzazione di “network of networks”, si afferma cioè che già da tempo la ricerca scientifica si organizza su scala globale sotto la forma delle reti e si tratta, ora, di coordinare le reti, non solo, però, ai fini dell’accrescimento delle conoscenze, ma con l’obiettivo di sviluppare, attraverso la cooperazione con partner pubblici e privati, innovazioni nelle politiche pubbliche in materia di sviluppo sostenibile. Queste questioni saranno anche al centro del summit torinese e del resto, si inseriscono in una più generale crescita di attenzione da parte degli organismi sovranazionali per quella che è chiamata “Education for Sustanaible Development”.Occorre subito osservare che però l’esigenza affermata di ristrutturare saperi e formazione non si accompagna a nessun ripensamento sul processo di trasformazione dell’università e in particolare sulla sua internazionalizzazione, così come abbiamo tentato di ricostruirla prima, anzi, le proposte di merito adottano linguaggi, logiche e modalità operative di quei medesimi processi ( si pensi alla riduzione alla figura di “stakeholder”, portatore di interessi, dei soggetti che entrano in contatto con gli atenei, presa dalla letteratura manageriale).Noi partiamo, invece, dall’assunzione che gli specialismi ed il sacrificio della conoscenza che comportano, sono il prodotto di un attacco alla ricchezza ed alla varietà delle capacità dei soggetti e non l’esito imprevisto e indesiderato dello sviluppo autonomo delle discipline scientifiche, che la rimessa in discussione di questa situazione passa attraverso lo scontro per riprendersele quelle capacità; più in generale il superamento della frammentazione dei saperi non può che imporsi attraverso il conflitto su di essi, sulle forme con cui vengono gerarchizzati, mercificati, privatizzati (si tratta del resto di quelle questioni che l’Onda ha sollevato, quando ha definito la prospettiva dell’autoformazione e dell’autoriforma).Nella preparazione di quest’appello è emersa l’esigenza di approfondire le questioni legate allo “sviluppo sostenibile” e di costruire una critica non solo legata allo specifico universitario; riteniamo comunque, che si debba partire non tanto dalla discussione sul concetto in sé, ormai diventato un termine contenitore, utile per gli scopi più diversi, ma dai processi reali, dalle scelte operative a cui rinvia.Innanzitutto bisogna ricordare che nell’impostazione degli organismi sovranazionali e degli stati più sviluppati economicamente, serve per garantire ed estendere il regime della proprietà e del profitto sulle risorse naturali, per permettere lo sviluppo di nuove merci e di nuovi settori ( si pensi alla questione delle energie rinnovabili). Inoltre, le politiche ispirate da quel concetto si integrano dentro processi più generali di flessibilizzazione del potere e dell’amministrazione, che permettono la costituzione di nuovi dispositivi del controllo, in grado di coprire meglio, in modo più esteso e capillare, il terreno della riproduzione sociale, di mettere a valore ambienti considerati nella complessità delle loro interazioni.Continuiamo pensare che anche la lotta contro le devastazioni ambientali ( e non, solo perché le strategie della sostenibilità, come si è visto, non riguardano solo le risorse naturali) debba passare per la rimessa in discussione delle rigidità politiche, economiche e sociali che l’ordine neoliberista ha costruito e che il “sistema della crisi” oggi in fase di costituzione tenta di aggiornare.L’agenda dell’ondaContro il vertice di maggio intendiamo lavorare ad una serie articolata di iniziative di lotta e di dibattito; abbiamo l’esigenza di approfondire la critica dei processi di trasformazione che investono l’università, sviluppando anche elementi d’inchiesta che si pongano sul crinale tra resistenza e sfruttamento, e ,nel contempo, sentiamo la necessità di mantenere l’attenzione su quello che sta accadendo, l’evoluzione della crisi, gli interventi del governo, che approfitta di questo contesto per approfondire la destrutturazione delle condizioni di vita, lavoro, socialità, che attacca con sempre maggiore vigore gli spazi di agibilità politica e sociale.È estremamente importante costruire le condizioni, fin da subito, per una manifestazione nazionale, in quei giorni, a Torino, con una netta caratterizzazione di contrapposizione al summit. È altrettanto imprescindibile organizzare in quel medesimo periodo un momento di confronto con altre realtà e esperienze internazionali che si sono mosse sul terreno del rapporto tra crisi globale e crisi dell’università.Bisognerà, inoltre, continuare nella costruzione di alleanze sociali e nell’interlocuzione con gli altri soggetti che si stanno muovendo contro la crisi, per la costruzione di elementi di piattaforma sui temi, che riteniamo unificanti, del welfare e della riproduzione sociale; sarà inevitabile, inoltre, dato il tema al centro del vertice, costruire rapporti più approfonditi con i movimenti che si sono mossi nei territori per i “beni comuni”( No Tav, No Dal Molin, contro la privatizzazione delle risorse idriche, eccetera) e che hanno posto, a partire dal loro specifico, esigenze non mediabili ed hanno dimostrato di saper affrontare i tentativi di reprimere i conflitti o, in alternativa, di subordinarli dentro un quadro consensuale tipico delle retoriche sullo “sviluppo sostenibile” (o quantomeno, molto simile ad esso).

Onda Anomala Torino per info: ondanog8.blogspot.com

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